Barrow·JD • Perché il mondo… (cap. 2) • Dalla natura al numero

Capitolo secondo - Dalla natura al numero


Testo ••▶ (scheda)
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◀•• 2. Dalla natura al numero [pp. 17-50]
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Noi troviamo un tipo indù, arabo, classico, occidentale di pensiero matematico e quindi anche di numero; espressione, ogni tipo, di qualcosa di intrinseco e di unico; ognuno simbolo di una validità anche scientificamente ben circoscritta […]. Per cui esiste più di una matematica.
Oswald Spengler, ‹Il tramonto dell’Occidente. Lineamenti di una morfologia della Storia mondiale› (1918-22): Parte prima, cap. I, par. 3 [trad. it. Guanda, Parma 1991³, p. 99].


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TERMINI-CHIAVE
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• alfabeto (lettere dell’alfabeto)
• Arabi
• Babilonesi
• base (per la numerazione)
• binario (sistema binario, a base 2)
• ‹bindu› (“punto centrale”?)
• calligrafia
• caos (creazione dell’ordine dal caos)
• censimento (tabù del censimento)
• commercio (scopi commerciali)
• complessità
• concetto (concetto astratto del numero)
• decimale (sistema decimale, a base 10)
• duodecimale (sistema duodecimale, a base 12)
• ellisse (ellissi)
• Feniciª (di origine fenicia)
• geometria
• Greci
• immaginazione (immaginazione geometrica)
• Indiani
• indo-arabo (sistema numerico indo-arabo)
• indoeuropeo (lingue indoeuropee)
• intuizione (intuizione matematica)
• matematica
• Maya
• meditazione (esercizi di meditazione)
• numero (senso naturale del numero, nozione astratta di numero)
• Olmechi
• pittogrammi (utilizzati in America Centrale)
• posizionale (sistema posizionale, notazione posizionale)
• religione (religione vedica)
• riscontro (corrispondenza ordinale con oggetti o parti del corpo)
• rituale (rituali religiosi, comportamenti rituali, origini rituali)
• rocca (cristallo di rocca)
• romano (numeri romani, simboli romani, sistema romano)
• sanscrito (libri sanscriti)
• ‹score› (20, punteggio, tacca)
• sessagesimale (sistema sessagesimale, a base 60)
• ‹Sriyantra› (“Grande Oggetto”)
• ‹Sulvasutra› (“Libro della Corda”)
• ‹Tantra
• tantrico (culto tantrico)
• teorema
• vigesimale (sistema vigesimale, a base 20)
• vuoto (simbolo del vuoto)
• ‹yantra› (“oggetto”?)
• zero


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STUDIOSI OPERE E PERSONAGGI
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• Escher (incisioni)
• Euclide (‹Elementi›)
• Heinzelin (Jean de Heinzelin, Ishongo)
• Ifrah* (G. Ifrah, ‹Storia universale dei numeri›, 1985)
• Pitagora (teorema di Pitagora)
• Shaw (George Bernard Shaw)
• Seidenberg* (Abraham Seidenberg, ‹The Diffusion of Counting Practices›, 1960)
• Wells (H.G. Wells)
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(*) nome o dettaglio contenuto nelle figure/didascalie.


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ESTRATTI
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[2·4]• ± extra
Anche osservando le società umane più primitive troviamo esempi di un senso del numero estremamente semplificato. Esistono diversi casi di tribù africane, sudamericane ed australiane nelle cui lingue esistono solo i concetti di «uno», «due» e «molti». Questa limitazione ai numeri più piccoli ha lasciato tracce anche in molte lingue europee, nelle quali esistono aggettivi per indicare «primo» e «secondo» che sono etimologicamente distinti dalle parole ‹uno› e ‹due›, mentre «terzo», «quarto», «quinto», «sesto» e così via sono chiaramente legati ai numeri ‹tre›, ‹quattro›, ‹cinque› e ‹sei›. Ciò implica che le parole che esprimono i numeri uno e due sono molto più vecchie e riflettono una concezione più primitiva e più limitata del contare. Inoltre troviamo nella maggior parte delle lingue europee una tendenza ad usare parole specifiche per descrivere la stessa piccola quantità di oggetti diversi. Perciò in inglese, ad esempio, esistono diverse parole per indicare oggetti che si trovano generalmente in «coppia» e l’uso di queste parole è strettamente collegato all’identità degli oggetti in questione. Diciamo normalmente: un paio di scarpe, un duetto musicale, una coppia di fagiani. Questo ci dimostra la mancanza di qualsiasi nozione astratta di numero allo stadio iniziale dello sviluppo umano. In molte tribù primitive la stessa tendenza si ritrova molto amplificata. Esiste più di una parola per tutti i numeri in uso, e si utilizzano parole diverse per indicare tre pesci, tre canoe, tre persone, tre pietre, tre lance, mentre non viene evidenziato il fattore comune, cioè che si tratti di tre oggetti.

— § —

[2·6]• ± extra
Questa è la forma più antica che si conosca di senso del numero. La testimonianza più remota di questo sistema di numerazione si ritrova su un osso del perone di babbuino rinvenuto nelle montagne dello Swaziland e risalente al 35.000 avanti Cristo. Presenta 29 tacche e probabilmente si tratta di un’arma su cui il cacciatore segnava gli animali uccisi. In Cecoslovacchia, a Vestonice, è stato ritrovato un osso di lupo, lungo circa 18 centimetri e risalente all’incirca al 30.000 avanti Cristo; esso mostra una linea composta da 25 tacche, poi due segni più grandi, seguiti da altre 30 tacche, e presenta tracce di divisione delle tacche in gruppi di cinque (forse da collegare con il numero delle dita della mano). La cosa interessante è che questo oggetto è stato ritrovato accanto alla scultura in avorio di una testa femminile, che testimonia l’esistenza di una cultura più sviluppata di quella dei cacciatori e dei raccoglitori.

— § —

[Fig·2]• ± extra
Fig. 2. Vista dei due lati del manico di uno strumento in osso fossile rinvenuto da Jean de Heinzelin a Ishongo, nei pressi del Lago Edoardo in Africa. In origine all’estremità destra si attaccava uno strumento di quarzo abbastanza grande per incisioni. Le tacche si succedono a gruppi di tre per volta, il che è piuttosto interessante, e risalgono a ca. il 9000 avanti Cristo.
• strumento di quarzo per incisioni • prima fila • seconda fila • terza fila •

— § —

[2·14]• ± extra
L’esistenza di questi primitivi sistemi di numerazione ci insegna che la nozione basilare del contare non è una nozione facile da acquisire e che non necessariamente si sviluppa in un sistema matematico. Nelle culture più primitive esiste solo una serie di aggettivi per descrivere la quantità degli oggetti. Alcune culture naturalmente sono andate più avanti, e quelle che hanno interagito con esse a scopi commerciali avevano un incentivo ad apprendere la loro lingua e il loro modo di contare. In questo modo i sistemi più sofisticati ed efficaci, che facevano uso del minor numero di parole per esprimere i numeri e che non richiedevano grandi sforzi di memoria, tendevano ad estendersi dalle culture superiori a quelle inferiori. Questo quadro generale porterebbe dunque a guardare ai centri primari di cultura del mondo antico per trovare la fonte delle intuizioni sui numeri che si sono evolute più rapidamente. Inoltre queste culture presentano anche altri elementi di civiltà: hanno comunità numerose che pianificano e costruiscono, praticano lo scambio che poi si sviluppa nell’atto del comprare e vendere facendo uso di moneta; hanno la necessità di registrare ciò che possiedono e di usare simboli per individuare gli oggetti di proprietà privata. Il denaro fu uno degli sviluppi che contribuirono a facilitare questo tipo di struttura sociale. Esso serve anche a rappresentare in maniera concreta una quantità che è trasferibile e non è legata a oggetti particolari. Il fatto che con una moneta si possa acquistare una certa quantità di cose diverse contribuisce ad affermare l’idea che esistono dei fattori comuni al di là dei singoli oggetti. Il numero poteva diventare questo fattore comune ma una nozione astratta di ‹due› o tre›, a prescindere dalle due pietre e dalle tre persone, non emerse nelle civiltà antiche fino agli inizi della cultura greca, nel V secolo avanti Cristo. Senza questo avventuroso passo avanti il contare non sarebbe mai diventato matematica, la libellula non avrebbe mai lasciato la sua crisalide per spiccare il volo.

— § —

[2·17]• ± extra
La questione della base usata per il calcolo aritmetico è una questione cruciale. La sua scelta determina la praticità del sistema e la sua predisposizione a diventare un mezzo più sofisticato per esprimere intuizioni matematiche. L’uso delle dita contribuì all’evoluzione dei sistemi semplici a base 2, che nascevano da intuizioni sulle coppie e sugli opposti, verso sistemi a base 5, e questo portò all’introduzione di nuove parole che esprimessero i gruppi di cinque che erano stati contati. Ad esempio, alcune culture che adottavano il sistema a base 5 usavano poi le dita di una mano per registrare i gruppi di cinque che avevano contato con l’altra. Usando con accortezza questa ginnastica con le dita delle mani e dei piedi si riescono a fare parecchie cose, anche se poi tutti i sistemi a base 5 si sono evoluti in sistemi a base 10 (cioè in sistemi «decimali») o a base 20 (detti anche «vigesimali»). Le società occidentali moderne fanno uso del sistema decimale che, insieme al sistema di cifre che usa, può vantarsi di essere la cosa che si avvicina di più a un linguaggio universale. È molto più universale delle lettere dell’alfabeto, di origine fenicia, impiegate nelle lingue europee.

— § —

[2·34]• ± extra×2
Tutti questi elementi — un’oculata scelta della base, l’adozione di una notazione posizionale e l’invenzione dello zero — si possono considerare come passi importanti nell’evoluzione dei nostri sistemi di numerazione. Uno o più di questi passi avrebbero potuto benissimo non essere effettuati: in effetti questo si verificò nella maggior parte delle culture antiche, e di conseguenza il loro senso del numero e i loro sistemi di numerazione nacquero morti e non si trasformarono mai in un trampolino per lo sviluppo della matematica che andasse oltre il semplice contare. Ma ciò non significa che non avremmo potuto arrivare al punto in cui siamo adesso anche seguendo un’altra strada. La sequenza storica di scoperte che si è verificata è stata sufficiente a favorire lo sviluppo della matematica astratta, ma non siamo in grado di dire se era anche necessaria.

[2·35]• ±
La storia ci dice che questi tre elementi fondamentali si ritrovarono insieme soltanto in India. La cultura indù creò simboli unici per i numeri 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8 e 9, adottò un sistema completo a base 10 che progrediva regolarmente da 1 a 10, 100, 1000 e così via. Ogni passaggio su questa scala veniva indicato dall’uso del sistema posizionale proprio come facciamo noi. Adottarono anche il modo di leggere «uno-due-tre» un numero come «123», proprio come si fa in inglese oggi. Infine aggiunsero il simbolo dello zero ed ottennero un sistema decimale che è essenzialmente quello usato oggi in occidente. Con il diffondersi della cultura indiana nel mondo arabo si verificò la graduale evoluzione dei simboli indicanti i numeri, e i simboli indiani originari si trasformarono in quelli che usiamo oggi, dando luogo a quello che noi chiamiamo il sistema numerico indo-arabo. Si tratta davvero di un linguaggio universale condiviso da tutte le culture più sviluppate.


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FIGURE E TABELLE
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• Figura·2 [p. 24] — Fig. 2. Vista dei due lati del manico di uno strumento in osso fossile rinvenuto da Jean de Heinzelin a Ishongo, nei pressi del Lago Edoardo in Africa.

• Figura·3 [p. 26] — Fig. 3. La distribuzione dei sistemi di conto puri a base 2 oggi esistenti e che hanno parole solamente per i concetti relativi ai numeri «uno» e «due».

• Figura·4 [p. 28] — Fig. 4. Una tipica illustrazione di come si estende il modo di contare dalle dita di una mano al resto del corpo …

• Figura·5 [p. 31] — Fig. 5. La distribuzione delle tecniche adottate per contare sulle dita della mano, secondo i dati raccolti per primo da Abraham Seidenberg

• Figura·6 [p. 35] — Fig. 6. La distribuzione dei sistemi di conto a base 5, 10, 20 e loro relazioni.

• Figura·7 [p. 37] — Fig. 7. La distribuzione odierna delle lingue di origine indoeuropea.

• Figura·7a [p. 40] — (confronto tra notazione “araba” e notazione romana).

• Figura·7b [p. 44] — (confronto tra sistemi numerici).

• Figura·8 [p. 45] — Fig. 8. Altare a forma di falco ricavato da gruppi di mattoni, montati assieme a partire da un piccolo numero di forme base.

• Figura·9 [p. 47] — Fig. 9. Lo ‹Sriyantra› è una costruzione geometrica usata variamente per la meditazione nella tradizione tantrica dell’India.

• Figura·10 [p. 48] — Fig. 10. La struttura qui raffigurata fa uso di archi ricavati da ellissi, anziché segmenti retti, per costruire figure triangolari con lati curvi.


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ANNOTAZIONI E SPUNTI
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COMMENTO – Quali sono le basi e le origini del pensiero matematico? Innanzitutto condividiamo con altre specie animali un “senso naturale del numero” – evidentemente un pensiero senza parola – che ci permette di distinguere quantità o molteplicità diverse fintantoché sono relativamente piccole (il corvo della storiella sapeva contare fino a 4); alcune lingue “primitive” hanno solo parole per “uno” e “due”, dopodiché viene “molti”, oppure esprimono numeri maggiori componendo i primi due, e tracce di questa antichissima origine dell’1 e del 2 permangono nelle lingue moderne. Spesso per piccoli numeri si usano parole diverse secondo il tipo di oggetti contati (il che lascia ipotizzare che in origine il numero fosse un aggettivo); è però possibile “contare” anche senza usare parole per i numeri, mediante “riscontro”, cioè facendo corrispondere, ad esempio come i pastori, pietruzze ad animali (e questa potrebbe essere l’origine dell’abaco). Già a Nuzi, in Mesopotamia, si usavano palline di argilla chiuse in contenitori (‹bullae›?) sui quali erano annotati quantità e tipi di animali. Oggetti con tacche incise, spesso raggruppate come per contare qualcosa, risalgono a 37mila (Swaziland) o 32mila anni fa (Vestonice, in Cecoslovacchia); sull’osso degli Ishongo, una tribù di 11mila anni fa (ai confini dello Zaire) le tacche sono raggruppate a formare diversi numeri, soprattutto primi, e il loro totale (60+60+48 su 3 file) fa pensare a una sorta di calendario.

Si può studiare la distribuzione geografica dei vari sistemi di numerazione: quelli che hanno solo termini per 1 e 2, quelli che arrivano fino a 3 (qui Barrow riporta l’ipotesi che questi sistemi abbiano origini “rituali”, ma a noi pare la spiegazione possa essere assai più “naturale”, legata alla fisiologia); in alcune culture si conta usando parti del corpo (fino a 33?), in altre esistono numeri maschili (dispari) e femminili (pari), oppure fausti e infausti, ed esistono anche tabù su quel che è meglio non contare (figli, soldi?, sudditi?…). Poi si diffuse l’uso di contare usando (solo) le dita: di una o due mani (basi 5 e 10), o di mani e piedi (base 20); ma anche qui esistono molte variazioni: prima la destra o la sinistra? a cominciare dal mignolo, dall’indice o dal pollice? Esistono anche culture in cui si conta con gli spazi tra le dita o accostando due dita della stessa mano (basi 4 e 8); una tecnica ancor più sofisticata prevede di puntare con il pollice le singole falangi della stessa mano (base 12), ma esistono anche altri modi per arrivare a 12 con una singola mano. Limitandosi all’uso delle mani, invece di sommare i valori di destra e sinistra, si possono “moltiplicare” tra loro, contando, ad esempio, con la sinistra le “cinquine” già completate con la destra (questa tecnica però implica l’idea dello zero e l’adozione di un segno “speciale” per rappresentarlo, come la mano aperta o il pugno chiuso, ma questo Barrow non lo dice); così, combinando varie tecniche possiamo contare sulle due mani sino a 5 × 5 + 5 = 30, 12 × 5 + 5 = 65 oppure 5 × 12 + 12 = 72, o perfino a 12 × 12 + 12 = 156! (ma anche questo Barrow non lo dice).

Delle antiche tecniche di conto ci sono rimaste tracce del sistema sessagesimale babilonese, in uso ancor oggi per le misure di angoli e di tempo (in verità abbiamo anche memoria di un più antico sistema duodecimale, avendo conservato 12 ore diurne e 12 notturne, 12 mesi l’anno e 12 segni zodiacali, ma questo Barrow non lo dice); comunque, seppur con qualche dissenso e qualche rara eccezione, il sistema oggi preponderante è quello decimale, che Barrow lega alla grande diffusione delle lingue indoeuropee a partire da un’unica “lingua madre” circa 5mila anni fa (in parte si contraddice, perché ha già rilevato tracce importanti di altri sistemi, e perché la tecnica di conto sembra piuttosto indipendente dalla lingua usata); ci sono studiosi che smentiscono che sia mai esistita una “lingua madre indoeuropea”, ma Barrow ha certamente tratto quest’idea da qualche incauta lettura antropologica, linguistica o filologica.

Sia come sia, il sistema attualmente in uso, che dall’Occidente si è ormai diffuso in tutto il mondo, si fonda sulle seguenti caratteristiche (per quanto comparse a tempi diversi):
  • un’oculata scelta della base (che non dev’essere troppo grande né troppo piccola);
  • l’adozione di una notazione posizionale (legata ovviamente alla base);
  • l’introduzione dello zero (prima come semplice segnaposto, poi anche come valore).
Barrow non si dice certo che questa fosse l’unica via per sviluppare una teoria matematica, tuttavia il fatto storico è che queste 3 si trovarono a coesistere per la 1ª volta in India (Barrow non dice quando, ma dovette accadere nei primi secoli e.v.); dagli Indiani il sistema fu trasmesso agli Arabi, e tramite questi arrivò in Occidente (intorno all’anno Mille); poi da qui – veicolato dal colonialismo e dall’imperialismo economico e culturale – si diffuse a tutto il resto del mondo.

L’asserita origine indiana del sistema moderno offre a Barrow lo spunto per legare le origini della matematica alla religione, alla meditazione e alle pratiche tantriche, dai ‹Sulvasutra› agli ‹Sriyantra›, anche se poi attribuisce il concetto astratto di numero e la costruzione rigorosa (assiomatico-deduttiva) della teoria soltanto alla razionalità greca (nel V secolo a.e.v.), e non si comprende che nesso ci possa essere tra le due situazioni (egli stesso afferma che non vi fu passaggio di conoscenze). A noi non pare verosimile né l’una né l’altra convinzione, per cui non lo seguiremo su questo terreno.


[2·4]• «[…] tribù africane, sudamericane ed australiane nelle cui lingue esistono solo i concetti di “uno”, “due” e “molti”»: dovremmo dedurne che la capacità di “contare” degli umani appartenenti a queste tribù è meno sofisticata di quella di un corvo, che sa contare fino a 4?
•[ivi]• «Questo ci dimostra la mancanza di qualsiasi nozione astratta di numero allo stadio iniziale dello sviluppo umano»: la chiave di quest’affermazione è “astratta”, Barrow intende dire che non esiste un’idea di numero indipendente da ciò che viene numerato; cosa intenda per “stadio iniziale dello sviluppo umano” non è ben chiaro; considerato il riferimento alle “società primitive”, intende certamente quest’espressione in senso antropologico, ma ben sapendo che “l’ontogenesi ricapitola la filogenesi” dovrebbe anche chiedersi quando e come si sviluppi nell’individuo la “nozione astratta di numero”; sorprendentemente (per dirla alla Barrow) non se lo chiede.
•[ivi]• «Esiste più di una parola per tutti i numeri in uso […]», ovvero: esistono diverse parole per “ciascun” numero, ogni parola essendo valida per una determinata categoria di oggetti.
NOTA: quest’uso ricorda i “classificatori” del cinese, lingua in cui i numeri “astratti” 1, 2, 3… sono affiancati da una sillaba aggiuntiva caratteristica del tipo o della forma degli oggetti, piante, animali, persone o concetti cui si riferiscono. Da approfondire…

[2·6]• «[…] questo oggetto [un osso di lupo con tacche raggruppate a cinque a cinque] è stato ritrovato accanto alla scultura in avorio di una testa femminile, che testimonia l’esistenza di una cultura più sviluppata di quella dei cacciatori e dei raccoglitori»: conclusione priva di fondamento; Barrow probabilmente immagina i cacciatori-raccoglitori come dei bruti privi di senso estetico, ma è contraddetto sia dalle pitture rupestri, sia dai ritrovamenti di strumenti musicali; quest’osso è di 30k anni fa, mentre la “rivoluzione neolitica” avviene soltanto 12k anni fa (vedi wikipedia: https://it.wikipedia.org/wiki/Rivoluzione_neolitica)

[2·14]• «Nelle culture più primitive esiste solo una serie di aggettivi per descrivere la quantità degli oggetti»: qui però siamo già passati dal conteggio “intuitivo” a quello “gestuale” per approdare a quello “verbale”; non si può quindi affermare che si tratti delle “culture più primitive”.
•[ivi]• «Alcune culture naturalmente sono andate più avanti, e quelle che hanno interagito con esse a scopi commerciali […]»: gli “scopi commerciali” però si affermano solo relativamente tardi; il “commercio” richiede infatti sovrapproduzione di qualche bene, ed è estraneo alla mentalità dei cacciatori-raccoglitori.
•[ivi]• «[…] queste culture […quelle più evolute…] hanno comunità numerose che pianificano e costruiscono […]»: il che significa sostanzialmente formazione di un’élite sociale, o forse persino due (la corte e il clero), comunque perdita dell’uguaglianza (anche di diritto) tra i membri della società, con la strutturazione di questa in “classi”.
•[ivi]• «[…] praticano lo scambio che poi si sviluppa nell’atto del comprare e vendere facendo uso di moneta […]»: in realtà l’introduzione della “moneta” richiederà parecchi secoli, e per lungo tempo i commerci a lungo raggio avverranno nella forma di scambio di “doni”; quelli locali si baseranno invece su beni di riferimento (quali orzo, lana, metalli).
•[ivi]• «Il denaro fu uno degli sviluppi che contribuirono a facilitare questo tipo di struttura sociale»: è sostanzialmente falso, i Sumeri avevano già una struttura sociale estremamente complessa – e avevano sviluppato notevoli conoscenze matematiche ed astronomiche (vedi cpv. 2·22), essendo gli inventori del sistema sessagesimale – molto prima che entrasse in uso il “denaro”.
•[ivi]• «[…] una nozione astratta di ‹due› o ‹tre›, a prescindere dalle due pietre e dalle tre persone, non emerse nelle civiltà antiche fino agli inizi della cultura greca […]»: qui Barrow sopravvaluta enormemente la cultura greca, dimentica ad esempio che ancora oggi utilizziamo per le misure degli angoli e del tempo il sistema sessagesimale di provenienza babilonese (e prima ancora sumera); e se a Babilonia si usava la stessa numerazione per angoli e tempo doveva ben esistere la “nozione astratta di ‹due› o ‹tre›”, e persino quella di sessanta; i numeri babilonesi erano anche associati alle divinità locali e avevano significati particolari, il che non è molto lontano dalle dottrine pitagoriche; è inoltre noto che molti grandi matematici greci – e anche diversi filosofi – avevano viaggiato in Mesopotamia e in Egitto, e non certo per insegnare.
NOTA 1: infatti non risulta che fossero i Greci i primi a “battere moneta”, riportiamo un brano da wikipedia (https://it.wikipedia.org/wiki/Moneta#La_moneta_di_metallo_prezioso):
La tradizione vuole che la moneta sia stata coniata per la prima volta da Creso, re di Lidia, nel VII secolo a.C. Nel secolo successivo l’uso di coniare monete si è diffuso nell’Impero Persiano e nelle città greche. Quindi, attraverso i Greci, l’uso della moneta è stato introdotto nel Mediterraneo Occidentale. Infine al tempo di Alessandro Magno si è diffuso anche in India.
Tra le regioni centrali dell’Anatolia note per l’abbondanza di metalli preziosi c’era anche la Frigia, da questa fama la leggenda di re Mida.
NOTA 2: potrebbe ad esempio essere interessante ricercare le occorrenze e i modi di esprimere i numeri nei poemi epici “agli inizi della cultura greca” – Barrow però colloca tali inizi “nel V secolo avanti Cristo”; che dire allora dei poveri Talete, Anassimandro e Anassimene?

[2·17]• «[…] alcune culture che adottavano il sistema a base 5 usavano poi le dita di una mano per registrare i gruppi di cinque che avevano contato con l’altra»: ma questo non implicherebbe il concetto di “zero”? Mentre conto da 1 a 5 con una mano, l’altra deve cominciare segnando zero, altrimenti sto contando 6, 7, 8… ma se la 2ª può segnare zero, perché non dovrebbe poterlo fare anche la 1ª? Con zero a destra e zero a sinistra, che numero ottengo?
•[ivi]• «[…] poi tutti i sistemi a base 5 si sono evoluti in sistemi a base 10 […] o a base 20 […]»: perché mai a nessuno viene in mente che il sistema sessagesimale dei Sumeri e poi dei Babilonesi potesse essere la combinazione di un sistema a base 5 (le dita di una mano) con quello a base 12 (le falangi delle 4 dita puntate dal pollice, ovviamente dell’altra)? Eppure sistemi a base 12 furono utilizzati dall’antichità fino al Medioevo, e ancora oggi sono usati per i mesi, per i segni zodiacali e per le ore del dì (12 per il giorno e 12 per la notte).

[2·34]• «La sequenza storica di scoperte che si è verificata è stata sufficiente a favorire lo sviluppo della matematica astratta […]»: pare dunque confermato che per Barrow si tratterebbe di “scoperte” più che di “invenzioni”, con qualche contraddizione terminologica perché parla di “invenzione dello zero”; e comunque i passi che, almeno storicamente, si sarebbero rivelati essenziali per lo sviluppo di una teoria matematica astratta come quella moderna sono:
  • un’oculata scelta della base (dando per scontato che una base debba esserci),
  • l’adozione di una notazione posizionale (legata ovviamente alla base),
  • l’invenzione dello zero (come valore, oltre che come semplice segnaposto).
Barrow però non si dice certo che questa fosse l’unica via per sviluppare una teoria matematica.

[2·35]• «[gli indù] Adottarono anche il modo di leggere “uno-due-tre” un numero come “123”, proprio come si fa in inglese oggi»: curiosa affermazione, ma evidentemente in inglese esiste una varietà di modi diversi di leggere le cifre, a seconda che rappresentino quantità, date, numeri di telefono, codici, numeri telefonici ecc.
•[ivi]• «[…] il sistema numerico indo-arabo. Si tratta davvero di un linguaggio universale […]»: ma si può veramente affermare che una notazione per scrivere (e anche per calcolare) valori numerici costituisca un “linguaggio”? Un linguista forse non sarebbe d’accordo.


[Fig·2]• Il reperto mostra chiaramente come le prime rappresentazioni di numeri siano legate alla linea; è possibile ciò si debba (anche) a motivi pratici, come facilità di realizzazione, visibilità e riconoscibilità del segno, tuttavia possiamo anche pensare vi sia tra linea e numero un nesso più profondo.

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[] John D. Barrow (1992), ‹Perché il mondo è matematico?›, Laterza 1992.
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