Massa, velocità, energia. La formula più famosa del mondo e il teorema di Pitagora
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di Marco Delmastro
borborigmi.org — 28/10/2008 (martedì 28 ottobre 2008)
Secondo articoletto della categoria Formulette (e pazienza per la radiazione di sincrotrone che avevo promesso: sarà per un’altra volta). Oggi vi propongo di giocare un po’ con la formula di fisica più famosa del mondo. Che — credo sarete d’accordo — è senza dubbio questa:
𝐸 = 𝑚𝑐²
La si trova dappertutto (insieme al faccione irriverente dell’Einstein degli ultimi anni), simbolo dei trionfi (e anche dei disastri, se pensate all’energia nucleare) della fisica moderna del 900. Cosa dice questa formula? Ci rivela la geniale scoperta di Einstein: un corpo di massa 𝑚 a riposo è un incredibile serbatoio di energia 𝐸, che può essere calcolata come il prodotto della sua massa 𝑚 per il quadrato della velocità della luce 𝑐.
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Quello che è un peccato è che la formula più famosa del mondo — così come è scritta lassù — ha almeno due difetti. Primo, vale solo per corpi a riposo: appena ci si sposta in un sistema di riferimento in cui il corpo in questione si muove, beh, non vale più (tra un minuto vediamo perché questo è un bel limite alla comprensione); la formula generale, quella che vale per un corpo qualunque sia la sua velocità 𝑣, è questa:
che è di certo meno facile da mettere sulle magliette o negli spot pubblicitari. Secondo, usa delle unità di misura ‹innaturali›, che aggiungono una complicazione probabilmente inutile alla formula, e, di nuovo, alla comprensione.
Iniziamo dalle unità di misura. La relatività speciale di Einstein ci dice che nulla si può muovere a una velocità maggiore di quella della luce 𝑐. A pensarci bene, se esiste una velocità limite, allora sarebbe sensato misurare ogni velocità in termini di questa velocità massima. Avrebbe molto più senso (perlomeno quando si fa fisica, forse non in autostrada) dire che un corpo viaggia a un centesimo della velocità della luce, piuttosto che a 3000 chilometri al secondo. Se decidiamo di usare questa convenzione (come tutti i fisici delle particelle fanno), possiamo ribattezzare la velocità come:
𝛽 = 𝑣 / 𝑐
Se un corpo viaggia alla velocità della luce, avrà 𝛽 = 1. Se va a 3000 chilometri al secondo, avrà 𝛽 = 0.01. E naturalmente misurare le velocità in unità di 𝑐 equivale a dire che 𝑐 = 1, per cui la nostra formula iniziale (quella che vale per tutte le velocità) diventa:
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Un po’ più semplice, no? Siccome 𝛽 non ha dimensioni (nel senso che è un numero ‹puro›, senza unità di misura), il trucchetto ci permette di misurare le ‹masse› e le ‹energie› (e i ‹momenti›, come vedremo tra un attimo) nella stessa unità di misura (scegliete voi quelle che vi piacciono: ai fisici delle particelle piacciono gli elettronvolt). Adesso facciamo un po’ di magia con l’algebra (ce la potete fare!). In relatività il momento di un corpo si calcola come 𝑝 = 𝐸𝛽, per cui se manipolate un po’ l’ultima formuletta (fate il quadrato, moltiplicate a destra e sinistra per 1 – 𝛽², …) potete ottenere questa qui:
𝐸² = 𝑚² + 𝑝²
che, detto tra noi, dovrebbe prendere il posto di formula più famosa del mondo!
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E adesso, non sentite un formicolio dietro alle orecchie? Sono sicuro di sì! Cosa vi ricorda l’ultima formula che abbiamo scritto? Dai, un piccolo sforzo… ma certo: il teorema di Pitagora! Eh sì, possiamo scrivere la formula più importante della relatività ristretta come fosse il teorema di Pitagora. Ganzo! Provate a dirlo ad alta voce: il quadrato dell’energia di un corpo è uguale alla somma dei quadrati della sua massa e del suo momento.
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Che cosa possiamo imparare da questa filastrocca? Guardate questa figura:
Nel caso (1) il corpo è fermo: la sua energia è completamente determinata dalla sua massa. Se il corpo in questione si muove (per esempio si tratta di Oliver che va a spasso) ha un momento molto più piccolo della sua massa (2), e la sua energia è ancora ‹quasi› completamente determinata dalla sua massa solamente. È il caso dei movimenti di tutti i giorni, della fisica classica: piccole velocità e grandi masse. Ma se il momento della particella è molto più grande della sua massa (3) come nel caso delle particelle negli acceleratori (che sono leggere, almeno rispetto a Oliver) che viaggiano a velocità prossime a quelle della luce, beh, l’energia della particella è praticamente tutta determinata dalla sua velocità! E nel caso estremo di particelle senza massa (4) come il fotone, beh, queste viaggiano sempre… alla velocità della luce.
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Adesso provate a usare questa figura per capire che cosa succede in un acceleratore di particelle. Prendete due particelle leggerine (diciamo due protoni, come in LHC) e acceleratele a velocità prossime a quella della luce: siete nella condizione (3). Poi le fate sbattere l’una contro l’altra, e, come già sapete, avete a disposizione nello scontro la somma delle energie. Ovvero un’ipotenusa blu bella lunga. Adesso immaginate che nello scontro saltiate dalla condizione (3) a quella (2) (o anche (1), se volete): con l’energia a disposizione potete produrre particelle moooolto più pesanti (con un cateto verde molto più lungo), ma che si muovono decisamente più piano (un cateto rosso più corto). Questo è quello che fanno i collisionatori: ‹trasformano energia cinetica› (che è facile accumulare, accelerando particelle leggere) ‹in massa›. Producendo particelle più pesanti di quelle di partenza! E, naturalmente, potreste farlo anche saltando da (4) a (2), usando due fotoni energetici per produrre particelle massive. Non è forte?
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‹Un grazie a L.B. Okun da cui ho preso in prestito l’idea del teorema di Pitagora. Questo articoletto è un regalo per Anna, che si sbatte per poter insegnare la fisica (moderna e non) alle scuole superiori›.
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ANNOTAZIONI E SPUNTI
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COMMENTO — L’articolo originale di M. Delmastro è consultabile su borborigmi.org (http://www.borborigmi.org/2008/10/28/massa-velocita-energia-la-formula-piu-famosa-del-mondo-e-il-teorema-di-pitagora/). Per i commenti più “tecnici” ci siamo avvalsi del contributo di E.B. Drummond.
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L’introduzione e l’utilizzo della ‹massa relativistica› sono tuttavia sconsigliati (tanto in ambito scientifico quanto didattico) perché suscettibili di ingenerare una confusione tra diversi concetti di massa; si preferisce lasciare a tale termine la valenza di ‹massa a riposo› (vedi wikipedia: https://it.wikipedia.org/wiki/Massa_relativistica).
•[ivi]• «[…] usa delle unità di misura ‹innaturali› […]»: in effetti, i più comuni sistemi di unità di misura in uso sono “antropocentrici”, nel senso che sono basati su grandezze tipiche del corpo umano: il secondo è dell’ordine di grandezza del battito cardiaco, il metro è circa la lunghezza di un passo ecc. I fisici hanno proposto diversi sistemi “naturali” — tra i quali forse il più noto è quello delle “Unità di misura di Planck” (vedi wikipedia: https://it.wikipedia.org/wiki/Unit%C3%A0_di_misura_di_Planck) — basati sui valori delle costanti universali, e in molti di questi vale appunto 𝑐 = 1 (vedi wikipedia: https://it.wikipedia.org/wiki/Unit%C3%A0_naturali).
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•[ivi]• «In relatività il momento di un corpo […]»: questa è un po’ una scorciatoia; la formula relativistica del ‹momento› viene introdotta e utilizzata senza essere spiegata né giustificata; il ‹momento›, detto anche ‹momento lineare› per distinguerlo da quello ‹angolare› (quello cioè dovuto alla rotazione di un corpo attorno a un asse), misura la ‹quantità di moto› (espressione che, insieme a ‹impulso›, ne costituisce un ulteriore sinonimo). Come l’energia, anche la ‹quantità di moto› totale di un sistema è una quantità conservata nel tempo. Come dimostrato nel 1915 dalla matematica Amalie Emmy Noether (1882–1935), la conservazione dell’‹energia› e della ‹quantità di moto› è strettamente connessa all’invarianza delle leggi fisiche per traslazioni rispettivamente nel tempo e nello spazio (Teorema di Noether, vedi wikipedia: https://it.wikipedia.org/wiki/Teorema_di_Noether). La conservazione dell’‹impulso› è l’evoluzione della teoria dell’‹impetus› formulata originariamente nel XIV sec. dal francese Giovanni Buridano (Jean Buridan, lat. Ioannes Buridanus) — vedi wikipedia (https://it.wikipedia.org/wiki/Teoria_dell%27impeto) — e anticipata già nel VI secolo dal bizantino Giovanni Filopono (Ἰωάννης ὁ Φιλόπονος) nel suo commento alla ‹Fisica› di Aristotele.
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Per i più sofisticati: l’ortogonalità è una conseguenza del fatto che nello spazio-tempo relativistico, l’impulso — che nello spazio “classico” è un vettore (rappresentabile mediante una “freccia”) — diviene un quadri-vettore (una “freccia” a 4 dimensioni, detto appunto “quadrimpulso”) di cui l’energia 𝐸 rappresenta la componente temporale. La lunghezza (modulo) del quadrimpulso è un invariante relativistico (vale essenzialmente 𝑚𝑐², a parte il segno), e per la particolare metrica dello spazio-tempo (metrica di Minkowski), che prevede un’inversione di segno per le componenti temporali, si ha (assumendo 𝑐 = 1):
𝑝² – 𝐸² = –𝑚²
e quindi:
𝐸² = 𝑚² + 𝑝²
che è proprio l’espressione della formula di Einstein ottenuta da Delmastro nel cpv. A·5.
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•[ivi]• Nell’originale: «[…] il momento della particella è molto più grande della sua massa (2) […]»; si tratta in realtà del caso (3), evidentemente una svista nell’editing del testo.
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NOTA: “LHC” sta per “Large Hadron Collider”, il celebre “collisionatore” situato al CERN, dove appunto Delmastro lavora.
•[ivi]• «[…] ‹trasformano energia cinetica› […] ‹in massa› […]»: questo è il contenuto più “rivoluzionario” della formula di Einstein da cui si era partiti: è possibile trasformare energia in massa e viceversa. Anche nella fisica precedente (detta “classica”) era ben noto il principio di conservazione dell’energia (totale), cioè la possibilità di trasformare tra loro forme diverse di energia (potenziale, cinetica, termica, chimica, elettrica, luminosa ecc.) purché la quantità totale non variasse. Dopo la relatività di Einstein, la massa potrebbe quindi essere intesa come nient’altro che una delle possibili forme assunte dall’energia. Occorre però osservare che la conversione di massa in energia trova un limite nella conservazione di altre quantità, note ai fisici come “numeri quantici”; ad esempio, 2 protoni che collidono non possono trasformare in energia tutta la loro massa, perché la loro carica elettrica totale (in questo caso 2𝑒) non può svanire nel nulla; una tale trasformazione è invece possibile facendo collidere tra loro particelle e relative antiparticelle (per esempio un protone e un antiprotone) perché in tal caso i loro “numeri quantici” (e quindi anche le rispettive cariche elettriche) hanno segno opposto e quindi possono annullarsi nell’urto.
•[ivi]• «[…] usando due fotoni energetici […]»: in questo caso, però, la difficoltà potrebbe essere legata alla ‹sezione d’urto›, ovvero alla probabilità che i due fotoni interagiscano invece di “passarsi attraverso”.
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